Per celebrare gli ultimi giorni d'inverno vogliamo parlarvi di un piatto, cardine della tradizione culinaria piemontese, che rappresenta un della tavola invernale in Langa, il "cinghiale al sivè".
Questo piatto, da alcuni assimilato al francese "civet" o al nostro "salmì", proposto in una miriade di varianti, spesso separate da semplici sfumature, le cui ricette vengono tramandate di generazione in generazione come un thesaurus iniziatico di cui si custodiscono i dettagli e i segreti che possono fare la differenza fra una grande esperienza culinaria e una mediocre esecuzione, è, a nostro giudizio, il trionfo della carne di cinghiale, di cui si hanno notizie di battute di caccia in Italia nord-occidentale già a partire dal 14° secolo
La preparazione si basa su pochi semplici ingredienti:
di cui non indicheremo le proporzioni poiché variabili a seconda della fonte, e prevede la marinatura della carne in vino e odori (tra cui alloro e ginepro) per almeno una notte al fine di eliminare la nota pungente, tipica delle carni nere, che le massaie definiscono "di selvatico".
Al termine della marinatura la carne, ripulita del liquido, va posta in casseruola, preferibilmente di coccio, insieme a un corposo soffritto e a una generosa dose di spezie e erbe, bagnata con vino rosso e cotta a fuoco lento per almeno due ore (o fino a quando la carne risulta tenera).
Una volta ultimata la cottura vi suggeriamo di gustare questa meraviglia ben calda, magari accompagnandola a una buona polenta.
Immancabile l'accostamento a un vino di corpo, che possa sostenere la forza del piatto, rosso e strutturato; noi vi suggeriamo un Barbera, sia Nizza D.O.C.G. , Superiore d'Asti o d'Asti, o, se preferite, un Barbaresco D.O.C.G. o un Roero D.O.C.G.
Qualunque sia la vostra scelta, buon appetito!